Quest’anno sono i cinquant’anni dal Sessantotto, l’evento che così profondamente ha inciso sulla cultura, il costume e la politica di questo mezzo secolo. Quest’anno ricorre un altro anniversario: sono trascorsi cinquant’anni dalla fondazione della Comunità Papa Giovanni XXIII. A dire il vero il ’68 è un anno importante nella biografia di don Oreste Benzi anche per un altro motivo, la nascita della parrocchia della Resurrezione, che da quel momento sarà una sorta di quartier generale del sacerdote dalla tonaca lisa.
Nell’estate del ’68 accade qualcosa che sarà il seme di una realtà oggi diffusa in tutto il mondo. Don Oreste è padre spirituale in seminario e insegnante di religione al liceo Serpieri. Viene a contatto con i ragazzi spastici del centro di rieducazione psicomotoria aperto a Rimini nel mese di marzo. In maggio scopre la realtà del Centro discenetici dell’ospedale Rizzoli di Bologna. Alla suora direttrice propone di portare quei ragazzi in vacanza sulle Dolomiti, ad Alba di Canazei. Da alcuni anni aveva aperto Casa Madonna delle Vette, eretta anche con i soldi raccolti durante un viaggio negli stati Uniti. Don Benzi l’aveva realizzata per portarci in vacanza i preadolescenti, perché nell’impatto con la bellezza delle montagne facessero “un incontro simpatico con Cristo”. “Se ci porto i ragazzi sani, perché non ci devo portare anche quelli spastici?”: è l’intuizione di quella che diventerà una sorta di parola d’ordine del sacerdote e della sua Comunità, “Dove siamo noi, lì anche loro”. Se riavvolgiamo il film della società italiana a cinquant’anni fa, non è difficile scoprire che per gli handicappati non ci fosse altra soluzione che l’istituto, che diventava spesso una sorta di casa di reclusione, per quanto con tutti i servizi. L’handicappato era allora forse il diverso per eccellenza, e come tale andava escluso dalla società dei sani. Coinvolgendo alcuni universitari, ex alunni del liceo, e seminaristi, don Benzi organizza il torpedone che porta sulle Dolomiti un gruppo di ragazzi spastici.
La loro presenza non tarda molto a farsi notare. Appena due giorni dopo il loro arrivo, giunge la telefonata dell’Azienda di Soggiorno a lasciare la valle. Era anche disposta a pagare il trasferimento in un’altra località, più defilata, lontana dagli occhi dei turisti. La proposta viene rispedita al mittente e per dieci giorni gli spastici e i loro accompagnatori vanno dove sono tutti: in funivia, in piscina, in paese, lungo i sentieri. Nell’anno dell’utopia al potere, don Benzi realizza una rivoluzione concreta che con il tempo cambierà la mentalità comune di fronte alla disabilità.
Al ritorno a Rimini scatta un altro tormentone del sacerdote: “Adesso che hai visto, non puoi più fare finta di niente”. Alcuni giovani continuano a vedersi e a condividere il loro tempo libero con gli handicappati. «La particolarità – ha commentato l’attuale presidente Giovanni Paolo Ramonda, in una intervista all’house organ Sempre - è stata il cogliere che le membra più deboli, come afferma San Paolo, sono quelle che vanno curate maggiormente, e che un popolo è tale se si prende cura dei più fragili. Il mettere la vita con i ragazzi spastici e in seguito con i malati di mente, i tossicodipendenti, i senza dimora, e così via, è un linguaggio che viene compreso da tutti,credenti e non credenti, giovani ed adulti. Quando uno si china verso l’escluso e lo solleva si ha un’esplosione di vita. In particolare i giovani sono catturati da questo messaggio
e sentono che vale la pena spendersi nella condivisione diretta».
I cinquant’anni della nascita della Comunità Papa Giovanni XXIII saranno ricordati il prossimo 10 luglio ad Alba di Canazei con un evento. A Casa Madonna delle Vette è stata anche allestita una mostra fotografica curata da Riccardo Ghinelli, che ha immortalato moltissimo della vita di don Benzi e della Comunità. «A Madonna delle Vette è nata la voglia di raccontare con la fotografia il nuovo che vivevamo. Raccontare il nostro punto di vista di giovani che si andavano a divertire assieme a degli amici, mentre gli altri vedevano quello che stavamo facendo come un atto di pietà. Ho voluto raccontare questo, quello che per noi era vita, mentre per gli altri era straordinario.»
I cinquant’anni della Comunità saranno celebrati anche a Rimini, dove tutto è nato, il prossimo 7 dicembre. In occasione di quell’evento sarà presentato anche il Premio internazionale don Oreste Benzi. Dalla parte degli ultimi, che ogni anno ad una personalità, ad una Associazione o ad un Ente che, senza distinzione di sesso, nazionalità, religione o appartenenza a forze politiche, “si sia particolarmente distinto nell’ambito di vita o nel settore dove si trovi ad operare, a favore delle persone che la nostra società malata ancora emargina, sfrutta o ritiene un inutile “scarto”, non riconoscendo in ognuna di esse l’inviolabile dignità della persona umana, creata ed amata da Dio”.
La storia della Comunità, e soprattutto quella del suo leader e fondare don Oreste Benzi, si è spesso incrociata con la storia della città e con le varie forme di povertà ed emarginazione sociale di volta in volta emergenti: disabili, minori, tossicodipendenti, prostitute, nomadi. Oggi la Comunità non è solo riminese, anche se in città sono la segreteria e i servizi generali. Quel primo gruppetto è diventato una realtà diffusa in 42 paesi del mondo, che gestisce 450 strutture di accoglienza con cinquemila persone inserite, mettendo a tavola ogni giorno oltre 41 mila persone. I membri della Comunità sono 1.800 e in 300 stanno compiendo il periodo di verifica.