Come abbiamo scritto la volta scorsa, le elezioni sono la possibilità per ogni cittadino di scoprire l’oggi della propria città e anche di riformulare il proprio rapporto con essa. In questo senso abbiamo provato a rileggere comportamenti, motivazioni ed esiti dei vari protagonisti della campagna elettorale.
Dalle liste civiche, delle quali abbiamo parlato nel primo articolo, passiamo ai partiti tradizionali.
Lega Nord
Appena “il Morrone” (per dirla alla lombarda) è comparso sulla scena elettorale riminese, tutti si sono accorti di avere davanti un politico molto diretto, che poco indulge a discorsi astratti e cortesie di maniera. Così, mentre la Lega sedeva al tavolo di Dreamini, chissà se solo per cortesia o per ammesso ‘deficit culturale’, Morrone accettava di aspettare, ma solo per un po’, il candidato eccellente promesso da Arcuri e che il suo partito non sarebbe comunque stato in grado di individuare. In questo modo, quando ha infine deciso di correre con un candidato proprio, ha mandato all’aria non uno solo ma entrambi i tavoli principali del civismo locale, e che fin dall’inizio si contendevano – con strumenti e lusinghe diverse – proprio i suoi voti.
Purtroppo Progetto Rimini ha disatteso le proprie promesse e invece che con un candidato forte si è presentato all’appuntamento con le mani vuote, mentre Dreamini, almeno pubblicamente, ha insistito inutilmente su contenuti e programmi. Ma quando si sa che non si vincerà, ed è questo il giudizo che la Lega deve avere dato a un certo momento della trattativa con i possibili alleati, i contenuti contano poco, serve invece attestarsi in difesa dei propri dati identitari, del proprio stile di politica e così capitalizzare al massimo la propria presenza sul territorio e in consiglio comunale. Ed evidentemente, né Camporesi, né le altre opzioni che Dreamini poteva mettere sul tavolo, le sono sembrate utili a migliorare il proprio risultato (sempre dando per scontato che da Dreamini queste candidature gliele abbiano offerte anche cedendone la primogenitura pubblica, e l’associazione stessa non abbia avuto pensieri identitari o protezionistici per una cifra intellettuale che non si sarebbe dovuta confondere con quella del partito di Salvini).
Di certo, decidendo di correre da sola, la Lega ha deciso di guardare solo al proprio obiettivo a breve termine, invece che dare respiro a un progetto che, nel tempo, anche se non avesse vinto al suo esordio, sarebbe potuto diventare il punto di raccolta delle opposizioni e che proprio per questo avrebbe costituito una vera novità nel centrodestra. Al contrario, come conferma anche la decisione di Forza Italia di schierarsi con il candidato sindaco della Lega, la disfida tra Camporesi e Pecci ha sancito e radicalizzato una divisione politica tra il civismo da una parte e i partiti tradizionali dall’altra, una spaccatura netta che certo trascinerà sospetti e antagonismi fin nella prossima legislatura. Intanto, complice la debolezza degli interlocutori, la forzatura di Morrone risulta vincente (per lui) e funzionale ai propri obiettivi.
A questo proposito, se infine dobbiamo restare alla parte realistica della politica, così come abbiamo riconosciuto a Morrone la legittimità di privilegiare il proprio capitale di voti, non possiamo non dire che, certo, anche la vicina scadenza elettorale del 2018 qualcosa deve avere contato, con la sua possibilità di avere un candidato della Romagna forte di un successo recente. E chi possa essere questo candidato è facile da immaginare.
Movimento 5 stelle
Alle scorse elezioni amministrative, i pentastellati avevano come proprio candidato sindaco Luigi Camporesi. Oggi, dopo che Grillo e Casaleggio hanno deciso che il movimento non presenterà una propria lista ufficale, Camporesi potrebbe riprovare, da altre sponde, a rappresentarne di nuovo le istanze. Il tutto mentre Gnassi comunque ringrazia.
Come si sia arrivati a dilapidare un patrimonio di un 20% almeno di voti si fa ancora fatica a dirlo. A bocca stretta, i protagonisti cominciano ad ammettere che qualche errore, forse, è stato commesso. La mossa iniziale l’ha fatta la dirigenza del movimento, la quale è caduta vittima di una sorta di delirio di eugenetica politica, per il quale i più puri, i soli che avrebbero potuto designare un candidato in modo moralmente ineccepibile, gli unici che non avrebbero avuto pensieri per il potere e, ancora, i soli depositari del pensiero pentastellato nella sua più limpida ortodossia, erano, guarda caso, proprio loro.
La discussione che ne è seguita è stata di quelle tipiche sul web, nelle quali accade più facilmente di mandarsi a quel paese che concedersi il tempo di un ragionamento o per avviare una trattativa politica. E l’esito è stato una sorta di “Ah, sì? Vedremo chi è il vero Movimento”. Alla prova dei fatti nessuno dei due.
Una nota particolare la merita la scelta dei candidati. Se il secondo (la seconda) è certo frutto della reazione al colpo di mano della dirigenza e forse anche un tentativo di captatio benevolentiae nei confronti del ‘capo’, il primo spicca per la scelta tattica particolare di cui era espressione.
I 5 Stelle, come in tutta Italia anche a Rimini, hanno fin qui raccolto elettorato scontento del centrodestra ed elettorato scontento del centrosinistra. Storicamente, a Rimini, anche ricordando il voto nel ballottaggio del 2011, sembra essere maggioritario il secondo, quello di sinistra. Ma un candidato che, per physique du role, sembra preso più dal comitato centrale di un partito comunista che dalle riunioni libere e incasinate di attivisti non professionisti, avrebbe dovuto anche erodere la base elettorale di Gnassi? E poi, in caso di un ballottaggio molto probabile tra Pd e 5Stelle, avrebbe invece dovuto raccogliere il voto del centrodestra? Non lo sapremo mai. Dispiace comunque che, come sembra, il Movimento non potrà essere rappresentato nel prossimo consiglio comunale. Sarebbe però interessante se, dopo quanto è successo, i pentastellati locali provassero a comporre in un puzzle unico le tante tematiche su cui si sono documentati in questi anni, spesso meglio di tutto il resto dell’opposizione, per abbozzare e rischiare una propria idea di città. Non solo come guardiani della legalità, ma come compagni di strada dei riminesi.
Partito Democratico
Qualche tempo fa abbiamo scritto che, dopo il fallimento del centrodestra e, ancora di più (sarebbe stato da aggiungere) dopo il suicidio dei grillini, Gnassi avrebbe dovuto preoccuparsi del suo partito e di quelli che si sarebbero potuti mettere di mezzo tra lui e la sua riconferma. Era ovviamente una esagerazione retorica, però qualche dispetto bisognava metterlo in conto. E poi, adesso, sono solo dispetti, ma dopo si vedrà. Anche perché la spada del rinvio a giudizio è ancora lì che dondola sopra la testa del sindaco.
E dire che il Pd, Melucci per primo, e anche generosamente, dovrebbe fare una colletta per erigere almeno una statua equestre a Gnassi, una scultura celebrativa a colui che fin dall’inizio della sua campagna elettorale cinque anni fa ha subito, quasi fulmineamente, disinnescato l’unica bomba che a Rimini sarebbe stata per l’opposizione il corrispettivo efficace del TRC a Riccione, vale a dire “il mattone”, unico grande tema che stava coagulando il malumore popolare (#gnassiequestre).
In ogni caso, è vero che il partito, e anche i circoli, hanno improvvisamente avuto un sussulto, approfittando della necessità di comporre le liste al consiglio comunale; ma più che una chiamata alla politica, un invito alla discussione sulla città che Rimini sta cominciando o dovrebbe cominciare a diventare a breve, sembra proprio e soltanto il rituale che prevede e precede il Manuale Cencelli del caso (come se la riflessione teorica sulla città fosse stata definitivamente abbandonata nelle mani del solo sindaco). Insomma, una gran tristezza. La stagione dei circoli, quelli che dovevano rinnovare il partito, è finita; le figure più carismatiche sono ormai in pensione; gli emergenti, più o meno giovani, hanno preferito – tra la battaglia e l’abbraccio mortale con il sindaco – ritirarsi e coltivare un proprio percorso lontano da piazza Cavour. Non parliamo delle tessere, che tanto non contano nulla. Infine, voilà, con la lista di Pizzolante abbiamo anche “il partito della nazione” versione cittadina.
In sintesi. La Lega a Rimini praticamente non è mai esistita; esistono invece eccome i riminesi che la voteranno, probabilmente tanti. Per vedere se ne nascerà un partito reale o se invece si confermerà soltanto un partito d’opinione bisognerà aspettare dopo le elezioni. Anche i grillini avrebbero i loro voti, e pure una gerarchia consolidata (tra eletti e incaricati), ma, per adesso, è venuta meno l’occasione che possa coinvolgere i riminesi nel progetto 5 Stelle. Il Pd invece governa e questo risolve ogni questione o, meglio, le copre tutte. Certamente, l’annullamento del pensiero del partito in quello del sindaco che amministra non suona per niente bene. O si tratta di dominio assoluto, come un novello Sigismondo, che governa la famiglia e la città, oppure non c’è più nessuno che abbia voglia di buttarsi. E forse è anche peggio.